Il metodo più usato quando si vuole innocuizzare la portata potenzialmente rivoluzionaria del pensiero di una persona, è quello di rivalutarlo.
E così possiamo assistere a Giorello che dibatte sulla vena libertaria di Ezra Pound, per allontanare lo spettro della sua totale ed incondizionata adesione alle ragioni del Fascismo. Come se poi le due cose fossero in contraddizione fra di loro. Altro metodo è quello di sminuirne le idee, tacciandole di “Dilettantismo”, alla meno peggio. Ma Pound, era proprio un dilettante?
L’intero pensiero di Pound si può riassumere in tre postulati
1) Il denaro non è una merce
2) Il lavoro non è una merce
3) Lo Stato dispone del credito, ergo non è necessario che si indebiti
Che il denaro non sia una merce, ce ne siamo oramai resi conto tutti, ma all’epoca era cosa poco scontata. La Germania uscì dalla crisi dell’iperinflazione e della disoccupazione galoppante rifiutandosi di legare la sua moneta ad oro o argento, operazione che fa perdere alla moneta il vantaggio di non dipendere dalle disponibilità auree di una Nazione, riserve di cui comunque la Germania, dopo Versailles impelagata nell’aritmia di Weimar, non aveva alcuna disponibilità. Hjalmar Schacht, governatore della Reichsbank, preferì legare la moneta al Lavoro, ovvero emettendo cartamoneta equivalente in cambio di beni e servizi prodotti dal popolo Tedesco.
E questo ci porta direttamente al secondo punto della disamina. Pound aveva intuito chiaramente che “Il modo migliore per distribuire potere d’acquisto è distribuire lavoro”, e si scagliò a più riprese contro l’aberrazione del cosiddetto “Mercato del lavoro”, elogiando quindi l’Italia Fascista che, tramite il Corporativismo, puntava al superamento della divisione fra Capitale e Lavoro (e quindi alla subordinazione del secondo al primo) nel nome di una idea mobilitante ed organicistica dello Stato.
Il terzo punto (che in effetti riguarda lo Stato), è quello più dibattuto, quello che gli costò il manicomio e la “Scomunica” da parte della cultura ufficiale. “Un popolo che non si indebita fa rabbia agli usurai”. Persino il metodo Schachtiano di emissione del danaro rimaneva una misura eminentemente provvisoria, tollerata e persino, forse, benvenuta. Pound andò oltre, ispirato dalla tomistica di S. Tommaso per cui “Il denaro che genera altro denaro è farina del demonio”. Per Pound era inconcepibile che le banche potessero creare altro denaro dal nulla tramite semplici operazioni contabili. Altresì, comprendeva benissimo che la “Fame monetaria” dello Stato era tutto fuorché benefica. In un’epoca di socialismi fiscali travestiti da democrazie liberali, è ben difficile cogliere una verità così lampante, così cristallina, così semplice come il fatto che la pressione fiscale è deleteria. Siamo ancora tutti convinti alla idiozia socialdemocratica per cui il fisco avrebbe una funzione “redistributrice” nei confronti delle sperequazioni sociali, perché consentirebbe allo Stato di finanziare scuola, sanità e altri servizi universali. Quello che però nessuno spiega è il perché lo Stato abbia la necessità di spremere i suoi cittadini come arance mature, generando così un effetto collaterale di non poco conto: progressivo abbassamento del potere d’acquisto della gente causato dall’aumento dei prezzi, causato a sua volta dall’aumento della pressione fiscale. Ovviamente, ai banchieri di questo poco o nulla cale: a loro basta avere quella moneta nei propri forzieri, per poi moltiplicarla algebricamente tramite trucchi contabili, ed arricchirsi enormemente. Anzi, la tassazione ha un effetto, dal loro punto di vista, benefico, perché impone alle imprese ed alle famiglie di colmare il vuoto generatosi nel proprio potere d’acquisto indebitandosi. Ecco allora che la democrazia liberale mostra il suo vero volto di socialismo fiscale etero-diretto per fini inconfessabili. Pound quindi, riprendendo l’idea di Gesell, propose di tassare non i cittadini-produttori (sul cui lavoro, appunto, si regge la prosperità della Nazione) ma il denaro medesimo, ponendo una marca da bollo ogni mese pari ad un centesimo del valore nominale della banconota medesima, ottenendo così un duplice effetto:
1) Allo Stato, senza alcuna spesa di riscossione, e senza alcuna possibilità di evasione fiscale, sarebbe stato garantito un reddito pari al 12% annuale della massa monetaria, utilizzabile per le proprie spese.
2) Le banche sarebbero state ridotte a meri intermediari finanziari, perché non avrebbero potuto rinchiudere il denaro nei propri forzieri (pena perdere tutti i propri averi in 100 mesi).
Il combinato disposto avrebbe garantito alla moneta una velocità di circolazione impensabile, con giovamento dell’economia nazionale nel suo complesso. Infatti è noto che più è alta la velocità di circolazione di una data moneta (è una moneta che, causa la perdita del suo valore nominale, è incentivata a spendersi), maggiore è il finanziamento diretto alle attività produttive. La moneta così strutturata, nonostante la velocità di circolazione non soffrirebbe neanche del fenomeno inflattivo che sarebbe compensato dalla progressiva svalutazione. In questo contesto, i titoli di Stato non sarebbero più stati una tragica necessità, ma uno strumento dello Stato (non soggetto a deprezzamento come sarebbe invece la moneta prescrivibile) a garantire il risparmio dei cittadini come riserva di potere d’acquisto.
‘Qualcuno’ parla per Pound. Noi non ci azzardiamo a farlo. Non parliamo in suo nome. Parliamo di Pound, agiamo con Pound, nel solco della sua massima: “credo nelle idee che diventano azione” e di qui la sua sempre verde attualità.
Matteo Rovatti
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